La funzione urbanistica di Cintuzzo

 


Giacinto Tarantino, detto Cintuzzo
altrimenti detto "ci minti cientu liri a Santantonio"


In uno scritto del 1979, Barthes, mescolando reminiscenze classiche al sentimento vivissimo della contemporaneità vissuta alla ricerca del calore dei sentimenti e dell’amicizia, parlava del significato etimologico dell’«accolita», l’akoluthia greca, che traduceva come «corteo degli amici». E in questo «corteo», nell’interpretazione storica e sentimentale con cui gli si accostava, scorgeva il significato profondo di una comunità affettiva e intellettuale, che finisce per porsi come fondamento di ogni percorso esistenziale e del rapporto che
questo percorso costruisce con quanti condividono epoca, pensieri, valori, etica, estetica. "Il «corteo degli amici» è quello per cui viviamo, pensiamo, agiamo, costruiamo. È il fiume caldo di affetti e di solidarietà che ci accompagna per tutta la vita". 
Di recente un improvvisato corteo di amici si è appalesato su un filo di discussione - quelli che la sanno lunga dicono thread - su Facebook. Una discussione che muoveva dal ricordo di Cintuzzu, indimenticabile sacrestano della chiesetta di S.Antonio dell'Orto. 

Ci minti cientu liri a SantAntonio?
Giacinto era un bravuomo che ti aiutava a portare la spesa a casa e che presidiava la triangolazione Standa \ Corso Mazzini \ S.Antonio dell'Orto. Insomma Giacinto era un passeur che ti accompagnava con la spesa a casa e in cambio ti chiedeva cientu liri, non per lui - i maligni giuravano che ne avesse a bizzeffe - ma per S.Antonio della cui chiesetta era sacrestano. Era una presenza bonaria e beneaugurante, ti salutava e vigilava. Di fatto operava una sorta di controllo sociale sotto forma di vita pubblica nelle strade ("eyes on the street") come condizioni essenziali del "defensible space". Una funzione discreta e non panopticale, uno sguardo come quello delle donne dal balcone, nei quartieri e nei parchi.
 
Cintuzzo avrebbe avuto bisogno della valorizzazione di una Jane Jacobs e di una urbanistica “non pianificata” che riconosce nei diversi contesti specificità e vitalità delle esperienze urbane.

Per la Jacobs "i centri urbani progettati senza tenere conto della vita dei suoi abitanti in nome di una pianificazione rigorosa e ordinata, non funzioneranno mai". «Bisogna uscire, e camminare – sottolinea la Jacobs – camminate e vedrete che molti dei presupposti sui quali si basano i progetti sono sbagliati. Vedrete, ad esempio, che un complesso civico valido e ben tenuto non necessariamente migliora anche ciò che lo circonda».

E' il caso del ponte Calatrava, giusto  Raffaella? giusto Argia? Stefano, sei d'accordo?
La mia è ovviamente un'incursione in terre sconosciute (salvo forse una vaga mappatura cromosomica), ma mi sarebbe piaciuto che Giacinto allungasse i suoi domini fin lì. Magari solo - con gli occhi al cielo e la cascietta sottobraccio - per mandare affanculo i fantasmi della libertà, gli snob, i fobici, i narcisi e i libertari tardivi. Ecco, confesso un fantasma; quello di Cintuzzo che a Gergeri, all'angolo del ponte "strallato", conversa amabilmente con Cacciari, Agamben e Barbero.

Pensiamo a Giacinto come a una topologia, perennemente "sulla soglia", del supermarket come della chiesa, che presenziava e ti accompagnava, forte di qualche entratura nell'alto dei cieli (Sant'Antonio, dell'Orto e non Sant'Antonio Abate o di Padova) l'unico degno di nominazione e di gloria. Presenziare e accompagnare, dici niente! Non voglio certo sminuirne il ruolo di uomo pio e la portata, ma nel mio caso (che attiene alla catena significante e dunque è "simbolico") si aggiunga che ho abitato per tanti anni di fronte la fontana di Giugno e dunque nei pressi della Standa, dove si recava quotidianamente mia madre e prim'ancora nonno Ciccio. E lui alle prese coi fardelli più pesanti. Poi, trasferitici a Vadue, Giacinto era lì con me, nella benedizione di chi ti da un passaggio (fino all'AIAS, poi lui proseguiva fino a Carolei). E poi, di nuovo, a Sant'Antonio dell'Orto, a Lacosa, nei pressi di Ascente Arredamenti. Una "passe" a passaggi, frutto di cose semplici, "centulire" poi magari pure uno o due euro per un cero e i morti degli altri, un sorriso e un saluto "a Donna Totonna e all'Ingegnere".


Chiesa di Sant’Antonio dell’Orto

Questa Chiesetta apparteneva al Convento di Santa Maria degli Angeli ed era attigua al fabbricato di detto Convento. Sull’altare maggiore è un pregevole affresco raffigurante la Madonna che allatta il Bambino, porta in alto la data “1621”; vi sono diverse statue e cioè quella della Madonna degli Angeli (al momento in fase di restauro), quella di Sant’Antonio di Padova e quella di Sant’Antonio Abate; una tela su cui è dipinto Sant’Ippolito e sotto si legge «Vincenzo Licciardone F.F.P.S.D.A.D. 1813» (anch’essa in fase di restauro).

In giro alle pareti della Chiesetta sono quattro dipinti su tela raffiguranti l’Annunciata, l’Assunta, l’Immacolata, l’Incoronazione di Maria SS.

Il soffitto in tavola, dipinto a vari disegni, ha nel centro un quadro su tela della Madonna del Latte. In una targa al di sopra della porta interna della Chiesetta è questa iscrizione «Abbellita ed ampliata come si vede dai suoi divoti 22 febbraio 1730».

Sul piccolo campanile sono collocate due campane, una porta incisa questa iscrizione: «A.D. 1911 – Alfonso Valentini da Dipignano – Francesco Bilotta Procuratore della Chiesa di S. Antonio degli Orti di Cosenza»; sull’altra campana si legge «A divozione di F.B. 1925».

In uno scritto del 1979, Barthes, mescolando reminiscenze classiche al sentimento della contemporaneità vissuta alla ricerca del calore dei sentimenti e dell’amicizia, parlava del significato etimologico dell’«accolita», l’akoluthia greca, che traduceva come «corteo degli amici». E in questo «corteo», nell’interpretazione storica e sentimentale con cui gli si accostava, scorgeva il significato profondo di una comunità affettiva e intellettuale, che finisce per porsi come fondamento di ogni percorso esistenziale e del rapporto che questo percorso costruisce con quanti condividono epoca, pensieri, valori, etica, estetica. "Il «corteo degli amici» è quello per cui viviamo, pensiamo, agiamo, costruiamo. È il fiume caldo di affetti e di solidarietà che ci accompagna per tutta la vita".

l'urbanistica non pianificata


Andrea Villani, 

LA CITTÀ DA JANE JACOBS A URSULA VON DER LEYEN



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